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mercoledì 29 marzo 2017

Si è spento Manuel Claudiano Zane




PRINCIPE DELLA RIBALTA E CAMPIONE DI UMANITA’

 

Claudiano

Da cinque anni era ospite della casa

di riposo “Giuseppe Verdi” a Milano.

Cominciò la carriera a 19 anni a Rio

de Janeiro, dove era nato, e riscosse

successi nel suo Paese, in Francia, in

Italia…Amico degli artisti più famosi,

considerava Milano la sua seconda

patria. Aveva una fede profonda ed

era buono e generoso.



Franco Presicci

Presicci intervista Walter Chiari e Patrizia Caselli
Stendhal era così innamorato di Milano, da esprimere il desiderio di esservi sepolto. Manuel Claudiano Filho Zane, sbocciato sotto il sole del Brasile, ha respirato il grigiore di questa città oggi frenetica e caotica. L’amore è cieco, si dice. Anche quello per l’ambiente in cui si vive. Claudiano, grandissimo artista ricco di umanità, a Milano ha trascorso tantissimi anni, abitando in una casa di ringhiera sprovvista di ascensore, ma ancora immersa nell’atmosfera familiare di una volta; e non si stancava di decantarlo, questo porto aperto a tutti quelli in possesso della voglia di fare. E quella voglia Claudiano ce l’aveva. Lo conobbi qualche anno fa, grazie al mio collega e amico Piero Lotito, che scrive anche libri. Mi parlò di lui, e quando si accorse di aver stuzzicato la mia curiosità, si offrì di accompagnarmi, regalandomi una di quelle giornate in cui mi sento arricchito.
Claudiano con Piero Lotito
Eccomi dunque di fronte ad un uomo color cioccolato, espansivo, travolgente, che con i suoi ricordi commuoveva, divertiva. Mi dette subito del tu, trattandomi come un vecchio amico riemerso, mentre Piero mi lanciava occhiate furtive ed eloquenti: “Vedi, è come te lo avevo descritto. Valeva la pena ascoltarlo”. Claudiano anticipava le domande, spalancava pagine della propria vita non solo professionale, con una spontaneità e una sincerità insolite. Mai reticente, pronto a duellare con la mia impertinenza, con sorrisi caldi, disarmanti. Mi parlò delle sue origini, della sua infanzia, delle sue esperienze, della sua carriera costruita mattone su mattone ben cementati, e delle persone che aveva conosciuto. E quando la conversazione stava per concludersi, mi raccomandò di tornare a fargli visita tutte le volte che avessi avuto tempo. Mi telefonò quando uscì l’articolo sul “Giorno” per ringraziarmi ripetutamente, come un neofita.. Mi ritelefonò per sapere se avessi notizie di Piero, che non sentiva da qualche mese. “Sta male, ha qualche problema?”. “Ma no, Claudiano: Piero a volte è come una favilla che balugina nel cielo di notte. Starà scrivendo un libro o un articolo. E poi lui è ancora legato alla sua scrivania al giornale; non è a spasso come me”. L’ironia lo fece ridere: era anche una delle sue virtù.
Primo piano di Claudiano
Claudiano, grande, grandissimo. Ancora una volta è stato Piero Lotito a parlarmi di lui. Ma questa volta per darmi una notizia che mai avrei voluto ricevere: “Sai, Claudiano si è spento nella casa di riposo per musicisti ‘Giuseppe Verdi’. Era lì dal 7 febbraio 2012. L’ho ricordato nel mio ‘Colpo d’occhio’ sul ‘Giorno’”. Se n’è andato, “il cantante spiritual dalla voce gioiosamente melodiosa, come quella di un fringuello; ballerino, showman.…”. Quando una persona cara scompare, avverti un vuoto; e subito pensi che non sia possibile. E ti avvilisci, se, trasmettendo ad altri il messaggio, senti commentare: “In fondo aveva più di 90 anni, aveva fatto la sua vita”. Odio l’anagrafe, la prima violazione della “privacy. ” Piero mi ha chiesto con garbo di scrivere un ricordo. Non ho perso tempo. Ho obbedito a un mio bisogno. E ripensando a quelle ore nella casa di Claudiano in via Imbonati, per la verità un tantino disordinata, tipica di chi non dà importanza alle cose e al posto che dovrebbero avere, me lo immagino ancora seduto su un fianco del letto, accanto alla finestra, mentre si rivolge a me, che me ne sto dietro al tavolo, dove non c’è spazio neppure per uno spillo, e faccio fatica a prendere nota del suo racconto che spumeggia come una bottiglia di “champagne”. Nella metropoli accarezzata dai navigli, queste vie liquide un tempo più animate di oggi, non si sentiva straniero. E parlava un italiano senza contaminazioni. La nostra lingua gli piaceva. “E’ quella del belcanto”, aveva dichiarato a Lotito, che gli aveva chiesto se avesse un pizzico di nostalgia per la Milano di una volta, così diversa. Ne aveva.
Manuel Claudiano Zane-Il mare...la sua passione
Ma ne aveva soprattutto per il mare. Gli mancava, il mare; gli mancavano il profumo della salsedine, le crespe d’argento, la musica dell’onda che lecca la rena. Per fortuna – confessava – aveva amici che gli glielo facevano ammirare ad Alassio. Era un uomo straordinario. Evocava le sue tappe esaltanti commuovendosi, scherzando, provando gioia, senza enfasi. Affascinava, coinvolgeva, celebrava Milano. Qual è la sua parte più bella? “Se ami una città, non puoi dire dove splenda di più”. Sarebbe come dire che una donna è bella ma ha le gambe storte. Quando passeggiava lungo il Naviglio Grande pensava al Brasile; quando era a Rio de Janeiro pensava a Milano. Aveva due amori. “Negli anni Sessanta dove sono nato c’era un razzismo subdolo. Se un lavoro teatrale comprendeva un personaggio di colore, l’interprete doveva essere un bianco con la faccia tinta”.
Claudiano
Quando decise di venire in Europa, in patria era già popolarissimo, avendo partecipato a molte trasmissioni radiofoniche e televisive e a quattro film. Sostò per sei anni a Parigi, frequentando molte celebrità dello spettacolo, da Yves Montand a Simone Signoret, a Charles Aznavour, e lavorando con Josephine Baker. Ne ’62 approdò infine a Milano, e cominciò ad andare in Galleria del Corso, allora affollata di case discografiche, dalla Carosello alle Messaggerie Musicali; e strinse rapporti con Giovanni D’Anzi e altri; in seguito con Wanda Osiris, Giulietta Masina, Nilla Pizzi, Walter Chiari, Pippo Baudo, Mia Martini, “alla quale volevo bene come a una sorella”, Paola Borboni, che gli dedicava molta cordialità. Era facile nutrire affetto per Claudiano, dalla simpatia spiccata, traboccante. Tra l’altro, era uno dei primi a portare la musica brasiliana nella terra del Porta.
Enrico Simonetti e Manuel Claudiano
Amico dello “chansonnier Enrico Simonetti, cantò con lui in un locale di Alassio. Fece poi due serate a Saint Vincent con il balletto “La Brasiliana”, quindi al “Carcano” di Milano. Ne ha raccolti di applausi entusiastici, questo ballerino, showman, attore di cinema e di teatro, cantante. I suoi pezzi forti? “Festa para un rei negro”, “Charlie Brown”… ”La mia famiglia d’origine era povera, ma non quella in cui sono cresciuto. Mi portavano sempre al cinema: la prima volta avevo 4 anni. A casa, poi, imitavo gli attori osservati dalla platea. Fui affascinato dalla danza assistendo a un film con Fred Astaire. A 19 Anni conquistai il palcoscenico. Studiavo molto, sui libri usati”. A 21 anni incontrò Julia, una ragazza ebrea che si era rifugiata in Brasile durante la guerra. La vide in un bar, prima di trasferirsi a Parigi, dove lei andava a trovarlo. Oltre che grande artista, Manuel Claudiano Zane era un uomo molto generoso. Si dava da fare per aiutare chi aveva bisogno. Nel ’70 – ricorda Piero Lotito – scoprì i bambini di un orfanotrofio di Cinisello Balsamo e ne rimase colpito. Si era imbattuto in tanta gente ricca e la coinvolse. Distribuiva l’indirizzo dell’istituto e sollecitava la solidarietà. Era anche un uomo di fede. Se riceveva un torto, pregava. Dalla fede derivavano il suo buonumore, la sua letizia, la sua fiducia nel prossimo. Il giorno in cui, sbucando dalla Galleria Vittorio Emanuele, vide il Duomo con le sue guglie merlettate “mi venne quasi uno svenimento”.
Adesso Claudiano è in un punto più alto del Duomo. Da lì forse prega per migliorare il mondo, che va in rovina.








mercoledì 22 marzo 2017

Il variegato mondo del collezionismo



UN CAVATURACCIOLI RARO

PUO’ COSTARE 3 MILA EURO

 


                                                                        Cavatappi in un tarocco              

                          
                                                               disegnato per noi da MENEGAZZI


                   

 

Sothebi’s all’utensile ha dedicato un volume.

L’interesse del British Museum.

Note le aste di Christie’s.

Le associazioni nate in diversi Paesi.

Si raccolgono soldatini di piombo e di carta,

trenini, bambole, ma anche figurine, medaglie,

adesivi, scatole, bottoni, ferri da stiro,

salvadanai…

 

L’opera di Vito Arienti, ispiratore di

giovanissimi talenti, e di Osvaldo Menegazzi,

artista surrealista.




Franco  Presicci  

                                                                                                           

Grazie a Vito Arienti, di Lissone, e al milanese Osvaldo Menegazzi, entrambi notissimi nel campo dei tarocchi (l’uno collezionista, oltre che stampatore di esemplari non soltanto storici; l’altro autore spesso surreale), a suo tempo mi sono imbattuto in tanti raccoglitori di scatole, fascette di sigari, biglietti di lotterie, segnapagine¸ fiammiferi, bottoni, portachiavi, etichette, bustine da zucchero, autografi, bambole, trenini, copricapo, giocattoli di latta, ferri da stiro, lumi a petrolio...
Vito Arienti

Una signora ultraottantenne mi ricevette fra centinaia di ventagli con scene bucoliche, interni rinascimentali, paesaggi, molti fabbricati da lei anche su commissione…; un’altra faceva incetta di locomotive a carbone eseguite con cartoncino nero da un signore anziano con un cespuglio sotto il naso e un volto severo. In uno spazioso appartamento un professionista alloggiava un esercito di soldatini di piombo (circa 40 mila); in un altro un ex bancario impilava cartoline d’epoca, raffiguranti donne con il cappello, donne in carrozza o in bici, da sole o in compagnia, la vecchia Centrale di Milano, le vie storiche…. Ad Altare in provincia di Savona due Bormioli, Alfio il padre, Amanzio il figlio, ricostruivano in piombo le battaglie napoleoniche contese da molti appassionati. E siccome erano bravi nel fabbricare anche oggetti in vetro, infilavano nelle bottiglie velieri o altre imbarcazioni e poi soffiando chiudevano il fondo, a volte alla presenza dei visitatori.
Osvaldo Menegazzi
Un amico incuriosito mi chiese come facessero, i collezionisti, a trovare lo spazio necessario all’accumulo degli oggetti del desiderio, soprattutto di quelli più ingombranti. Evidentemente chi ha questa passione, o hobby che dir si voglia, sa come risolvere il problema. Anche chi recupera computer o salvadanai, collocandoli anche su mensole fissate dappertutto, anche in bagno o nello sgabuzzino. A proposito di salvadanai, ce ne sono di prestigiosi, tanto che nel ’77 la Cassa di risparmio di Verona organizzò una mostra utilizzando anche pezzi spediti dalle ramificazioni dell’istituto in Germania e in Svizzera. Spiccavano un salvadanaio d’argento del 1820 e uno di origine peruviana risalente a qualche secolo addietro.

Tanti anni fa una signora disperata si lamentò del marito, persona ineccepibile, ma con il “vizio” di accumulare sotto il letto accendini in contenitori trasparenti. Un commerciante lasciava parcheggiata l’auto lungo il marciapiede, avendo occupato il box con un plastico ferroviario a più piani e molti elementi complementari: semafori, marmotte, stazioni, lampade, oltre a un discreto numero di vagoni, motrici, carrigrù, pianali con garitta… C’è chi in una teca custodisce circa 400 fischietti in terracotta usciti dai forni di Bassano del Grappa, Caltagirone, Grottaglie, Rutigliano…; e ne avrebbe certamente di più, se non rischiasse il divorzio. E c’è chi per nessuna ragione rinuncerebbe ai propri album di figurine Liebig, o alle pipe o ai fermacarte o ai cucchiaini o addirittura ai biglietti del tram di ogni Paese, ai calendarietti dei barbieri… 
Un calendarietto dei barbieri
Una quarantina di anni fa proprio Menegazzi mi presentò il titolare, abruzzese, di un ristorante molto ben frequentato. Collezionava orologi antichi. Paolo Cavallina, già conduttore della seguitissima trasmissione radiofonica “Ciamate Roma 3131”, mi aveva telefonato per affidarmi le ultime pagine, a colori, del neonato quotidiano, da lui diretto, “Il Mezzogiorno”, dedicato appunto all’Abruzzo; e quell’oste giungeva a proposito; quindi lo pregai di mostrarmi il forziere, custodito in banca. Per me fu un salto di qualità, dopo aver osservato solo tappi di sughero, menù, distintivi, medaglie, bottoni…. E passai una notte tra segnatempo di ogni tipo ed epoca, belli, estrosi, “notturni”, da collo, da tavolo, da petto… Ammirai specialmente quelli da tasca a doppia cassa, ricordando che erano stati soppiantati durante la prima guerra mondiale da quelli da polso perché meno vistosi e fastidiosi. Ricordo un orologio che andava su e giù su un piano oscillante; un altro era incastonato in un anello dell’800…Al termine, pensai alla collezione donata da Bruno Falk nel 1973 al Museo Poldi Pezzoli di Milano; e al “notturno” raffigurante Armida con i pastori conservato nel Museo elvetico.
Cavaturaccioli
Nel maggio del 2008 scoprii l’universo dei cavatappi: a leve multiple; con manico ad ancora o a serpente arrotolato o a “t”; con lo spazzolino di setola per eliminare lo sporco del tappo e dell’imboccatura della bottiglia; in legno decorato; in vetro soffiato; in forma di chiave; tascabili; da muro; da tavolo; antichi, moderni…Non ne avevo mai visti tanti in una volta sola, e non avrei immaginato l’esistenza di molti tipi pregevoli e cari. La raccolta non si esauriva nelle preziosità esposte. Altre erano deposte con molta cura in casse e cassettoni e altrove. Il titolare, un signore di poche parole, colto, serafico, gentile, Renato Nicolai, 84 anni, veterinario, di Cesena, studi a Bologna, a Milano dal ’60, ne parlava senza enfasi, guardando spesso un “tirabusciò” a forma di cane che troneggiava su un mobile di età rispettabile. Forse era tra i preferiti del dottore, che raccontava la storia e le caratteristiche tecniche di alcuni campioni, dicendosi dispiaciuto per uno che gli mancava: quello con l’immagine caricaturale del senatore statunitense Volstead, difensore della legge contro il commercio degli alcolici, che dal ’19 al ‘33 tenne in astinenza i bevitori.
  
Gli chiesi notizie di nuovi acquisti; e mi confidò che non aveva più voglia di andare in giro per mercatini, fiere, aste…”Ma se mi capitasse l’occasione di un pezzo appetibile, non me la farei scappare. Ce ne sono tanti di belli, originali, ingegnosi”. Molto apprezzati dai collezionisti del settore, polomeofili (dal greco tappo e tirare) i cavaturaccioli “jambes des dames”, a gambe di ballerine di can can, tipo quello tedesco dei primi del Novecento, in stivaletti in argentone e calze in celluloide, che si “pavoneggiò” in una rassegna memorabile. Ricercati anche quelli in stile Rococò a cremagliera (forniti di braccia); a concertina; a soggetto erotico… Un collezionista americano, Donald Bull, acquistò da un uruguaiano un “gioiello” in argento con la scritta, sull’astuccio, “Società del ‘tirabuscion’ fondata la notte tra il 25 e il 26 ottobre 1877 a Milano”: città in cui il 17 dicembre 1988, nella “Taverna della Trisa”, l’ingegner Paolo De Sanctis e l’architetto Maurizio Fantoni battezzarono l’Associazione italiana collezionisti cavatappi, con sede in via Vallazze 22.

 MA C'ERANO ANCHE GLI "INFILATAPPI",
 COME SI VEDE DALLE FOTO
 DI UN ESEMPLARE, REALIZZATO IN LEGNO DI NOCI,
 DA GIUSEPPE SANTORO (detto Peppino), CIRCA 70 ANNI FA,
 ANCORA CONSERVATO GELOSAMENTE DALLA
 FIGLIA MARIA PIA, SPOSATA CON ADAMO DI PALMA.



 
“La storia di questo utensile è iniziata secoli fa con il tappo di sughero. Poi si avvertì l’esigenza di sposare l’estetica con la tecnica, e si mobilitarono valenti artigiani, che realizzarono veri capolavori, come certi tirabusciò arabescati su fondo d’oro. E il British Museum prese ad interessarsi al cavatappo, argomento sul quale Sothebi’s ha dedicato un libro, per non dire delle aste battute da Christie’s e delle Associazioni sorte in Francia, America, Canada, Italia…”. La data di nascita – aggiunse Nicolai – non è certa. Tuttavia, stando ad alcuni storici, risale attorno al Settecento, in Inghilterra, quando si cominciò a invecchiare il vino in bottiglie di vetro. Il primo brevetto venne registrato nel 1795 dall’inglese Samuel Henshall.

Il dottore gentiluomo mi aveva aperto la porta di un altro mondo, ricco di curiosità. “Lo sa che uno di questi… arnesi può arrivare a costare 3 mila euro?”. “Non lo so ma ci credo”.

In seguito intercettai altre “collane”: di conchiglie, fermacarte, sigarette, manifesti, “press papiers”... Ma seguire sempre il lavoro di Osvaldo Menegazzi (presente con i suoi tarocchi nell’enciclopedia del Kaplan, grandissimo esperto, a livello mondiale). Quando Vito Arienti scomparve, anche dal Giappone si continuarono a richiedere i suoi mazzi, molti dei quali disegnati da giovani talenti dall’ispirazione originale. Che il lissonese valorizzava, come moltissimi anni prima, dal 1815, aveva fatto il Guppenberg nella tipografia dei giardini della Scala.

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mercoledì 15 marzo 2017

UN BINOMIO INDISSOLUBILE: BERARDI-CASOLARI


"La prima, la migliore"

 

   

PORTA I SUOI SPETTACOLI NEL MONDO

SENZA MAI DIMENTICARE CRISPIANO

 


Riscuote ovunque, in Italia e all’estero, un notevole successo di critica e di pubblico. 

 

Anche il severo critico di “Repubblica” lo ha elogiato.

 

L’1 aprile la Compagnia sarà a Lecce, al Cantiere teatrale Koreja, con     “Io provo a volare”;

 

il 6 a Gioia del Colle, al Teatro Rossini, con lo stesso spettacolo;

 

il 7 e l’8 a Bari, al Teatro Abeliano, con “La prima, la migliore”.

 

Ma il calendario è molto nutrito: comprende recite anche in Basilicata, a Perugia, a Milano e altrove.

 

 

                                    §§§*§§§


Servizio di FRANCO PRESICCI


E’ stata Marzia Annese, professione architetto, a farmi conoscere Gianfranco Berardi, inviandomi un video che lo coglie mentre risponde a raffica alle domande di un giornalista.

L’ho visto, non una, ma due volte, per il piacere di ascoltarlo. Ho subito deciso di telefonargli; ed è stato gentile ed esauriente, pur non avendo molto tempo, impegnato com’è, assieme a Gabriella Casolari, in una “tournèe” con “La prima, la migliore” (produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione), liberamente (lui dice “liberalissimamente”) ispirato al libro di Erich Maria Remarque, “Non c’è niente di nuovo sul fronte occidentale”: pagine in cui si rivive la crudeltà della prima guerra mondiale, dal punto di vista di un soldato di 19 anni.

Quello sconvolgimento, in cui lo stesso Remarque venne più volte ferito, e di anni ne aveva soltanto 18, e le cause che lo determinarono per Berardi e Casolari sono un pretesto per parlare della nostra epoca con i mali che l’affliggono: oltre alla crisi economica, la manipolazione ideologica, le promesse non mantenute, la propaganda, la deriva dei giovani, le delusioni, la distanza tra i luoghi in cui si prendono le decisioni e chi le deve affrontare: il popolo, le cui esigenze vengono sempre deluse…


"Io e Gabriella – dice Berardi – ci occupiamo di teatro controtemporaneo, nelle vesti di attori, registi e autori (mio fratello suona e canta brani popolari) e cerchiamo di scardinare i luoghi comuni, le convenzioni, le falsificazioni visibili e invisibili, i conflitti che le persone hanno con se stessi, oltre che con la realtà che le circonda, con un occhio particolare alle fasce deboli”.


Figlio di un operaio dell’Ilva, è nato nel ’78 a Bitonto. Quando aveva sei mesi la famiglia si trasferì a Crispiano, nel quartiere Santa Maria Goretti, dove poi costruirono una chiesa, che fu molto importante per Gianfranco: grazie a un prete, don Ignazio Blasi, che esortava a fare progetti, e a condividerli. E il ragazzo creò un gruppo con il quale realizzò vari laboratori, sviluppando le doti nate con lui.

Nel 2001 ha incontrato Gabriella Casolari, attrice impegnata in un sodalizio teatrale di Sassuolo venuto a Martina Franca, e con lei ha avviato un percorso convogliato nel 2008 nella compagnia Berardi-Casolari, “la cui poetica affonda le radici nella corrente riconosciuta come ‘Nuova drammaturgia’, pur considerando prioritario l’aspetto popolare di ogni singolo lavoro”.

Da una decina d’anni dunque calcano sempre insieme, in perfetta armonia, le tavole del palcoscenico; e insieme hanno recitato, e recitano, in giro per l’Italia e all’estero: dalla Bolivia all’Argentina. Il loro primo spettacolo è stato “Briganti”, con Gabriella impegnata nella regia e nelle luci e Gianfranco nei panni di nove personaggi, da Garibaldi a Cavour, al soldato piemontese… Spoglia la scenografia: soltanto una sedia in movimento, metafora del mondo che il brigante attraversa: le imboscate, le battaglie, i covi, la cattura, il carcere, la rabbia per le ingiustizie, i tradimenti, l’amore…

La compagnia ottiene elogi sui giornali, riscuote i consensi entusiastici del pubblico e l’apprezzamento di un aristarco autorevolissimo, Franco Quadri di “Repubblica”. “Briganti” vince il Festival internazionale di Lugano”, sezione Nuova drammaturgia; e un altro spettacolo del gruppo, “Land Lover”, il Premio ETI – Nuove creatività e il bando “Principi attivi” della Regione Puglia.



I riconoscimenti proseguono: “Io provo a volare”, omaggio a Domenico Modugno, capolavoro di teatro-musica, sostenuto dal Festival internazionale Castel dei Mondi (Andria Bat), pluripremiato allo “joakiminterFest” (Belgrado), Premio speciale della giuria, Premio migliore spettacolo scelto dal pubblico, ospitato al Cooper Festival Slovenia e all’Istituto italiano di cultura di Parigi, Premio Antonio Landieri a Napoli.

Nel 2010 incontrano Cèsar Brie, ed eccoli assistenti alla regia di “Albero senza ombra”, con cui “diamo vita alla nostra nuova produzione ‘In fondo agli occhi’, Berardi-Casolari, regia di Brie. Dopo la pubblicazione di “Viaggio per amore” – dal Deficiente a Land Lover” (UBU Libri), nel 2013 è apparsa la seconda pubblicazione, con titolo suggerito da “In fondo agli occhi”.

E arrivano gli inviti a partecipare a importanti trasmissioni televisive, da “Quelli che il calcio” ad “Applausi” condotta da Gigi Marzullo. Insomma una catena di successi, per Gianfranco e Gabriella. “Il nostro sogno era la conquista del palcoscenico. Volevamo fare gli attori, ma in modo indipendente, portando in scena opere classiche, ma anche opere originali partorite dalle nostre idee, dalle nostre esperienze, dal nostro modo di vedere il mondo.


Il nostro teatro è necessario soprattutto a noi, perché ci dà l’occasione, assieme a chi ci segue, di dissentire. I nostri temi sono attuali: riguardano i giovani decisi a non mollare; le storture, gli abusi, le disuguaglianze, i patti sociali svenduti, ma anche i nostri 40 anni”.


Con la loro attività febbrile, edificante, sognano, e con loro gli spettatori sempre numerosi. Con il loro talento, Gianfranco e Gabriella danno un contributo rilevante al tentativo della parte buona della società di raddrizzare la rotta pericolosa che la nave ha intrapreso. Il teatro è godimento estetico, ma anche educazione; è finzione, ma loro, un binomio indissolubile e di grande bravura, raccontano il malessere che ci sta travolgendo.

Gianfranco, che Sara Chiappori su “Repubblica” ha definito magnetico, ricorda volentieri i suoi primi passi in teatro, agevolati dalla professoressa Maria Pia Morelli, che volendo rappresentare “Ditegli sempre di sì” di Eduardo De Filippo, gli affidò un ruolo di primo piano. Poi, con la spinta della stessa insegnante, cominciò a scrivere testi. Il teatro lo prese, lo affascinò, lo avvinse.

Gianfranco cominciò a studiare, a meditare, a osservare il mondo, pieno di gente delusa, frustrata, incattivita per i soprusi, i sacrifici da affrontare; di giovani traditi; di veleni che insidiano l’ambiente; di retorica che stordisce; di banditori protagonisti in interminabili “bla-bla-bla” sul piccolo schermo; di governi che muoiono e risorgono; di programmi senz’anima urlati per catturare il consenso; di povertà che s’infittisce; di minoranze emarginate…: dinamiche che resistono nonostante le conquiste tecnologiche, culturali.

L’indagine storico-letteraria di Gianfranco Berardi e dell’emiliana Gabriella Casolari, interprete prestigiosa, è “tuttora in atto” e alimenta la loro drammaturgia, che va sempre più espandendosi.

E Crispiano, la bella cittadina a pochi chilometri dal grembo di Taranto; dal canale navigabile che, lambendo il Castello Aragonese, sposa due mari, il Grande e il Piccolo? “Io a Crispiano ho la casa, nello stesso quartiere in cui sono cresciuto, dove abitava anche Michele Annese. A Crispiano ha la sede la Compagnia”.

Come dimenticare Crispiano, la città delle cento masserie; della Biblioteca “Carlo Natale”, che tra l’altro è stata anch’essa un cantiere (tra le idee concretizzate “Il libro nei condomini”, gli incontri con gli autori, da Alberto Bevilacqua a Giuseppe Giacovazzo…) con la guida di Annese e l’impegno di valenti collaboratori confluiti nell’Università del Tempo libero e del Sapere. A Crispiano non pochi ricordano Gianfranco Berardi da ragazzo.

Di lui Michele Annese, oggi direttore del settimanale "on line” “Minerva News”, riferisce, con ammirazione, che “è sempre stato fautore di iniziative culturali e pronto a dare una mano a quelle promosse da altri”.
 

Mi piace concludere questo incontro che mi arricchisce con il pensiero di Sara Chiappori: “…Berardi ha trasformato la cecità in sensibilità teatrale aumentata…con una scintilla di empatia che non è mai di maniera”. Una persona autentica, vera. Come Gabriella.







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Teatro Elfo Puccini  Roma








Risultati immagini per teatro abeliano bari


Nuovo Teatro Abeliano Bari                                      




teatro_Rossini













Teatro Rossini Gioia del Colle


Testo e regia Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari

Con Gianfranco Berardi, Gabriella Casolari e Davide Berardi

Una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione




“Oggi, nella patria della nostra giovinezza camminiamo come viaggiatori di passaggio. Gli eventi ci hanno consumato siamo divenuti accorti come mercanti brutali come macellai noi siamo più spensierati ma atrocemente indifferenti, sapremo forse vivere nella dolce terra ma quale vita? “
Volgendo lo sguardo agli spettacoli che dal 2003 a oggi abbiamo realizzato, ci accorgiamo che il conflitto, con noi stessi e con la realtà circostante, è stato e continua a essere il motore della nostra ricerca. Le dinamiche, i mutamenti e le opportunità da questo prodotte e derivate, sono attrazioni irresistibili verso cui tendiamo come attori, autori ed esseri umani. L’occasione questa volta è quella del centenario del primo conflitto mondiale che sconvolse l’Italia, l’Europa e il pianeta intero. E’ incredibile come studiando un evento accaduto ormai tanto tempo fa ci si senta coinvolti da situazioni e sensazioni che sembrano raccontare la nostra contemporaneità. Ed allora la condizione di una generazione “perduta” per un’ideologia  criminale, propagandata a tutto spiano,  la distanza fra il popolo  e  chi lo governa,  il cambiamento epocale ed il conseguente smarrimento esistenziale, diventano metafore  per raccontare la nostra condizione, il nostro tempo nel nostro paese. L’idea ci è venuta qualche anno fa leggendo il romanzo confessione “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di E.M. Remarque. L’autore in maniera lucida e feroce racconta di popoli lanciati uno contro l’altro, per odio e per orgoglio ed al contempo riflette  e fa riflettere sulla situazione  di depressione e disperazione che avvolge senza tregua la società ieri come oggi. Di qui è iniziata una  indagine, storico-letteraria, ancora in atto,  che mescola le materie di interesse, dal politico al sociale, dall’economico all’artistico, fornendo una contaminazione di linguaggi, stili ed argomentazioni in cui è sempre più interessante avventurarsi per proseguire il nostro cammino di ricerca, la nostra avventura  alla scoperta di chi siamo, di chi siamo stati e di chi potremo un giorno divenire.


“ Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha portato attraverso questi anni è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se io abbia saputo dominarla, non so. Ma finché dura, essa si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell’essere, che nel mio interno dice “io”.” 
DATE ED EVENTI PROSSIMI


APRILE 2017
9 aprile 2017
Io provo a volare
Oppido Lucano (PZ) – Teatro Obadiah

7-8 aprile 2017
La prima, la migliore
Bari – Teatro Abeliano

6 aprile 2017
Io provo a volare
Gioia del Colle (BA) – Teatro Rossini

1 aprile 2017
Io provo a volare
Lecce – Cantieri Teatrali Koreja

MARZO 2017
dal 27 al 31 marzo 2017
Laboratorio “I Figli della Frettolosa”
Lecce – Cantieri Teatrali Koreja

25 marzo 2017
In fondo agli occhi
Perugia – Teatro Brecht

10 marzo 2017
Io provo a volare
Asti – Teatro Giraudi

FEBBRAIO 2017
25 febbraio 2017
Io provo a volare
Settimo Torinese (TO) – Teatro Civico Garibaldi

dal 14 al 19 febbraio 2017
La prima, la migliore
Milano – Teatro Elfo Puccini

             RECENSIONI

  La prima, la migliore

      In fondo agli occhi

          Io provo a volare

         Briganti

       Land Lover

  • Rumor(s)cena – 23 mar 2012
  • Voci dalla Soffitta – 22 mar 2012 (Josella Calantropo)
  • puntoelineamagazine.it – 10 dic 2010
  • Gazzetta del Sud – 5 dic 2010 (Sergio Di Giacomo)
  • La Repubblica – 26 nov 2010 (Simona Spaventa)
  • del Teatro – 25 nov 2010
  • La Repubblica | Tutto Milano – 24 nov 2010 (Franco Quadri)
  • alibionline.it – 20 nov 2010 (Saul Stucchi)
  • milano.mentelocale.it – 20 nov 2010 (Lorenza Delucchi)
  • Corriere della Sera – 19 nov 2010 (Livia Grossi)
  • CronacaQui – 19 nov 2010
  • Magazine Festival Castel dei Mondi
  • la Repubblica
  • Manifesto | delteatro.it – giu 2009 (G. Capitta – M.G. Gregori)
  • Hystrio (Andrea Nanni).
  •  
  •  Biografia Berardi/Casolari 

    Nel 2001 Gianfranco Berardi incontra sulla scena l'attrice Gabriella Casolari, con la quale inizierà un percorso che convoglierà nel 2008 nella Compagnia Berardi-Casolari. La poetica espressa dal gruppo, affonda le sue radici nella corrente riconosciuta come “nuova drammaturgia”, pur considerando prioritario l'aspetto popolare di ogni singolo lavoro. Tra le produzioni: BRIGANTI Spettacolo vincitore del "Festival Internazionale di Lugano", sezione nuova drammaturgia; LAND LOVER spettacolo vincitore del Premio ETI - Nuove Creatività e del bando "Principi Attivi" dell' Assessorato alla Trasparenza e cittadinanza attiva della Regione Puglia; IO PROVO A VOLARE - OMAGGIO A DOMENICO MODUGNO Spettacolo di teatro - musica, sostenuto dal Festival Internazionale Castel dei Mondi (Andria, BAT), pluripremiato allo “JoakimInterFest” di Kragujévac (Belgrado, SERBIA), Premio speciale della giuria, Premio miglior spettacolo scelto dal pubblico, ospitato al Cooper Festival-Slovenia ed all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Premio Antonio Landieri a Napoli nel 2011. Incontrano nel 2010 Cèsar Brie come assistenti alla regia dello spettacolo “Albero senza ombra”, con cui danno vita alla loro nuova produzione IN FONDO AGLI OCCHI di Berardi e Casolari, regia di Brie. Dopo la pubblicazione “Viaggio per amore- dal Deficiente a Land Lover“ - UBU LIBRI Milano settembre 2010, è uscita la seconda pubblicazione nel 2013, che prende il titolo dall’ultimo spettacolo “In fondo agli occhi” - Editoria&Spettacolo, che raccoglie i lavori degli ultimi dieci anni della Compagnia. In tv annoverano le apparizioni alle trasmissioni “Quelli che il calcio..” condotta da Vittoria Cabello, “Sostiene Bollani” condotta da Stefano Bollani, in radio nella trasmissione “610” su Radio2 condotta da Lillo e Greg a settembre 2014, “Applausi” condotta da Gigi Marzullo.



mercoledì 8 marzo 2017

UN'OPERA GRANDIOSA DI FRANCESCO OGLIARI



Francesco Ogliari

 

TRE SECOLI DI STORIA DEI TRASPORTI

NEL MUSEO EUROPEO DI VOLANDIA

 

 

Il visitatore s’immerge in un mondo affascinante

 

 

tra locomotive, tram, funicolari, stazioni con sale

 

 

d’attesa popolate da manichini in vestiti d’epoca.

 

 

C’è anche quella di Pio IX e quella che portava

 

 

Cadorna sulla linea del fronte durante la prima

 

 

guerra mondiale. Uno spettacolo da non perdere.

 

 








                                                                      Servizio di Franco Presicci  
                                                                                                                                             

L’ultima traversata d’“el barchett de Boffalora” avvenne nell’ottobre del 1913. Come al solito, il battelliere si appostò sotto il Trofeo, monumento poi abbattuto, e urlò: “El barchett el va, el barchett el vaaa!”. E un formicaio di gente sbucò dalle osterie del quartiere Ticinese correndo verso la darsena. L’urlo lo ripetè il “patrone”, il comandante, e iniziò il viaggio lungo il Naviglio Grande (reso navigabile nel 1272). A bordo una figura pittoresca di cantastorie suonava uno strumento bizzarro, costituito da uno spago teso e da una zucca vuota che fungeva da cassa di risonanza, e cantava raccogliendo il denaro per il biglietto.
El barchett de Boffalora
Il natante era fatto di rovere, era lungo oltre 17 metri e largo circa 2,90; aveva il fondo piatto e il casello con il tetto in legno; 40 posti a sedere; il timone a pala. Velocità massima 20 chilometri. A Piera Bottini Santinoli ha ispirato una poesia, da cui cogliamo un paio di versi: “L’è in partenza, sciuri… ch’el va…E sora l’acqua torbida e quietta/ el scarliga in cerca di praa! (…e sull’acqua torbida e quieta scivola in cerca di prato). Il 23 giugno del 2013, una domenica, una ricostruzione di questa barca-corriera è stata varata per celebrare i cent’anni dalla cessazione del servizio. Partita alle 13 da Boffalora, è arrivata alle 16.30 in darsena, accolta dalla fanfara dei bersaglieri. Durante la manifestazione, organizzata dall’Associazione “La Pianta”, sono state rappresentate alcune scene della commedia - che all’epoca ebbe oltre mille repliche - scritta da Cletto Arrighi nel 1870 e intitolata appunto “El barchett de Boffalora”, per Paolo Valera una specie di arca di Noè carica di giovani, vecchi, uomini, donne, venditori ambulanti, esponenti della “ligera”, manigoldi sempre ai margini del codice penale, scansafatiche… 
Busto di Ogliari all'ingresso del Museo
Anche di questo conversai con Francesco Ogliari la mattina del 4 aprile del 2006, tre o quattro giorni dopo la presentazione al Pac di via Palestro di uno dei suoi tantissimi libri, “Milano di dentro”, alla quale partecipò anche Renato Pozzetto. Andai a trovarlo nel suo ufficio, a due passi dalla Rotonda della Besana; e quando mi annunciarono uscì dallo studio, che era in fondo a un lungo corridoio, e mi abbracciò. “Grazie per l’articolo: bellissimo”. “Grazie a te per il godimento che mi hai regalato con le tue pagine”. E gli chiesi subito se secondo lui il barchetto prima o poi avrebbe potuto riprendere l’attività. Sorrise. “Non esageriamo. Potrà al massimo essere utilizzato per qualche gita, e sicuramente saranno in molti ad approfittarne, soprattutto quelli che hanno a cuore i gioielli di Milano. Come ben sai, scivolando sul Naviglio, si può ammirare un paesaggio meraviglioso: ville, cascine, castelli, viali alberati attraversati da persone in bicicletta…”.
Ogliari con alcuni collaboratori
Francesco Ogliari, persona affabile, empatica, nonostante la sua apparenza severa, in oltre 350 volumi ha raccontato tutto della città del Porta. Ricordo “Milano in tram”; “El tranvai”; un’enciclopedia dei trasporti di oltre 80 tomi; “Dall’omnibus alla metropolitana”; “Cinquant’anni di vapore a Milano (1840-1890), scritto con Francesco Abate; “Quando la gita costava due soldi”… Per Carlo Bo i libri di Ogliari sono entrati di diritto a far parte delle grandi opere civili dell’umanità.Era una figura di spicco della cultura lombarda: avvocato in Cassazione; docente di diritto dei trasporti all’università IULM di Milano; membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione; per 25 anni presidente del Museo nazionale della Scienza e della Tecnica; vicepresidente del Circolo della Stampa... Candidato al Premio Nobel per la letteratura, nel 2001 gli fu assegnato il Premio “Carlo Porta”. Inoltre, ha ricevuto sei riconoscimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri… Stimatissimo, venne invitato al Quirinale da Sandro Pertini e ci andò con il figlio Giacomo.
Ogliari nel suo studio milanese
Locomotiva a vapore del Consorzio cooperativo Ferrovie reggiane
Infaticabile Ogliari. Raccogliendo e studiando documenti, notò che scomparivano i protagonisti dell’evoluzione dei trasporti. E si soffermò sul “Gamba de legn”, la mitica locomotiva a vapore che sferragliava dal capolinea di piazzale Baracca fino a Magenta, con bar, negozietti, posterie che fungevano da piccole stazioni lungo il percorso inaugurato nel 1870. “El gamb de legn” era uno spettacolo. Suscitava curiosità e molta attenzione, quando a 15 chilometri all’ora costeggiava architetture rurali, borgate, campi… Il biglietto costava dai 5 ai 7 centesimi in prima classe; 4 in seconda. L’ultimo sbuffo lo fece il 31 agosto del ’57.
A Ogliari “el gamba de legn”, al quale dedicò uno dei suoi volumi, piaceva moltissimo, tanto che un giorno, tornando da Parigi, ne vide uno a Domodossola, nella fonderia Galdarossa, e chiese al presidente della società di venderglielo. Ma l’interlocutore, apprendendo lo scopo dell’acquisto, glielo regalò.Era la locomotiva Busseto, che veniva anteposta al convoglio quando prendeva a bordo Giuseppe Verdi. Poi da un rottamaio di via Melchiorre Gioia, il professore scoprì un tram a cavalli a due piani, a cui però mancava l’originale imperiale. Era uno dei mezzi che l’8 luglio 1876 aveva aperto il servizio tra Porta Venezia e Monza.

Omnibus con due cavalli
Comperò un autobus 18 Bl Fiat, “oggi unico esistente e funzionante, che recuperai a Sommariva Bosco, vicino a Cuneo”. Nacque così a poco a poco il Museo Europeo dei Trasporti all’aria aperta a Ranco (Varese), dal 3 settembre 2015 spostato a Volandia, a pochi passi da Malpensa. Nel Museo, diretto dallo stesso Ogliari, si attraversavano tre secoli in tre ore. Fino al giorno della nostra conversazione lo avevano visitato un milione e 900 mila persone. Il professor Giovanni Puglisi del Museo ha scritto: “Non mi sono trovato di fronte a una pur encomiabile raccolta e cura di cimeli, ma ho osservato una contestualizzazione storica sapiente e una lungimirante valorizzazione di ciò che l’uomo ha ideato, prodotto e utilizzato per i propri spostamenti”.
El gamba de legn
















E il sociologo Francesco Alberoni: “Ogni anno ho il privilegio e la gioia di vivere, per un po’ di tempo, in un mondo in cui i prodigi della scienza e della tecnica arricchiscono la società umana fondamentalmente stabile nei suoi costumi e nei suoi valori…”.
C’è tutto un mondo affascinante, nel Museo di Francesco Ogliari: un mondo che tra l’altro fa sognare mète lontane e attraenti, con tutto il materiale prezioso che espone: ruote e binari che hanno fatto la storia; le prime rotaie per la trazione a cavallo; marmotte, stazioni, semafori, orologi, lampade; manifesti; un locomotore a batterie del 1926; un locomotore FS Gruppo E.626 costruito nel 1928; un posto di blocco ferroviario; la motrice a cremagliera con trazione diesel; telefoni ferroviari; funicolari; slitte; vagoni; tram; funivie; carrozze; un “break Vagonette”; una vettura per la manutenzione della linea aerea ferrotranviaria; più di un centinaio di manichini in abiti d’epoca nelle sale d’attesa ricostruite con arte. In bella mostra, anche la vettura di Pio IX rielaborata nei minimi particolari; e quella che portava Cadorna sulla linea del fronte nella prima guerra mondiale. Interessantissime una biblioteca con oltre diecimila volumi catalogati da esperti, e una collezione completa di francobolli sui trasporti in Italia… Un’opera grandiosa, una delle tante lasciate da Ogliari, deceduto a Milano nel marzo del 2009, a 78 anni. Per Alberoni, “tutte le opere di Ogliari donano felicità di sapere e di saggezza; sono mattoni di civiltà, che hanno edificato e realizzano il telaio di una società più giusta… Per compiere un viaggio nel tempo vengo a Ranco, in un lindo paese sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. Percorro sessanta chilometri da Milano e mi trovo nella mitteleuropa con il necessario nitore, con l’ordine e i rituali che accompagnano il vivere civile…“. Sono milioni gli adulti e i bambini che, seguendo l’esempio di Alberoni, entrano in questo grande teatro per assistere a uno spettacolo grandioso.