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mercoledì 19 aprile 2017

Nel ‘70, circa cinquant’anni or sono



PER LE RAGAZZE INVITATE IN GIURIA

“RIVOLTA DEI BAFFI” A MONTEMESOLA

 


Per i concorrenti erano tutte inesperte,

 

incapaci di giudicare obiettivamente.

 

Festival dei Baffi - Montemesola

All’evento fu dedicato

 

un programma su Tv

 

Taranto. Uno dei

 

concorrenti esibiva

 

un paio di baffi attorcigliati

 

attorno alle orecchie così

 

lunghi, che srotolati toccavano

 

il pavimento.











Franco Presicci 



Venne detta “la rivolta dei baffi”. Una definizione esagerata.

Titolo de: "Il Corriere del Giorno"
Rivolte furono quelle scatenate non soltanto in Italia dal lievitare delle tasse o dalle condizioni di vita dei contadini; e quella di Reggio Calabria nel ’70 per la scelta di Catanzaro come capoluogo di regione. A Montemesola si trattò soltanto di un risentimento acceso da una situazione di lana caprina. Il termine in verità sfuggì anche a me, scrivendo, per “Il Corriere del Giorno”, storico quotidiano tarantino, un articolo sull’argomento; e non poteva non ispirare il titolo, confezionato da Vincenzo Petrocelli, bravissimo caporedattore, colto, pacato e saggio, che nel fare il cappello per quel vestito, tra l’altro doveva catturare l’attenzione del lettore. Il fatto accadde nell’agosto del ‘76. Il festival dei baffi si era svolto una settimana prima, quando io, in vacanza come ogni anno a Taranto, ricevetti la visita di un parente ansioso di regalarmi uno “scoop”. “Lo sai che a Montemesola è successa una rivoluzione? Gli organizzatori hanno avuto la pensata di mettere delle femmine nella giuria, e quelle non hanno giudicato i baffi, ma chi li esibiva”.

Festival dei Baffi di Montemesola
Non detti peso all’argomento, anche perché alla parola da lui spiattellata tra l’altro con un tono irriguardoso preferisco quelle di ragazza o di signora. La sera andai al “Corriere”, che allora aveva la sede in via Di Palma, sopra il cinema Odeon, chiuso da tempo, e per curiosità chiesi dettagli a Vincenzo, che prese carta e penna e scrisse un paio di righe. “Toh, questo il titolo della trasmissione”. Non capivo; e lui: “Mi piacerebbe che allestissi un programma per domani alle 20 a Tv Taranto con personaggi baffuti. Potresti poi scrivere il pezzo per il giornale”. Non potevo dire di no a un amico che stimavo molto (è scomparso anni fa); e dopo qualche incertezza e un po’ d’imbarazzo accettai. La mattina successiva cercai la fonte della notizia; e un’oretta dopo mi trovai di fronte a un giovane alto un paio di metri, in carne, un sorriso aperto, un cespuglio attorno alle orecchie, che mi meravigliò non poco. Notando la mia espressione, quel monumento, per impressionarmi, cominciò a srotolare il boa pilifero fino a fargli toccare il pavimento. Non avevo mai visto niente di simile.
Fra Cristoforo del Gonin
Ricordavo i baffi e la barba di Fra Cristoforo nell’incisione del 1869 del Gonin; le barbe e i baffi della pubblicità “fin de siècle”; i baffi e la barba di Eberard Raucher, genero dell’imperatore Massimiliano II; la barba a sciarpa dei nani di Biancaneve; i baffi di David Niven e di Clark Gable; di Charlot (una macchia scura sotto il naso); di Luigi Pirandello e di Giuseppe Verdi; di Amedeo Nazzari e di Poirot… Ricordavo la bella barba di Franco Lorenzi, il famoso coltellinaio con negozio in corso Montenapoleone, a Milano, che trasformò in Museo la sua ricca e preziosa collezione: rasoi (compresi quello elettrico del 1929); lame e lamette, tra cui la famosa Lorenzi, richiestissima e preferita anche da Eugenio Montale; brevetti (450); migliaia di foto di barbieri da strada di tutto il mondo e tantissime altre rarità. Ma un virtuosismo come quello del giovane interlocutore, da lui detto alla cinese, neppure sotto occhi a mandorla lo avevo mai visto. Venni al dunque, incaricandolo di invitare un gruppetto di detentori dell’onor del mento, spiegandogli il motivo.
Franco Lorenzi, storico coltellinaio di via Montenapoleone
Non ebbe esitazioni. La sera, attraversando un temporale che scaricava tonnellate d’acqua sulla città tra assordanti fragori di tuoni, guadagnai lo studio con l’abito inzuppato. Si accesero le luci, l’operatore azionò il magico obiettivo e avviammo la conversazione sulla cosiddetta rivolta, scoprendo che non aveva avuto origine dalla presenza del gentil sesso nella giuria; ma dal fatto che era rappresentato da fanciulle inesperte della materia, quindi non idonee ad esprimere un giudizio obiettivo sull’estro, l’estetica dei baffi in gara. “Hanno dato il voto solo al fisico dei concorrenti”, non alla decorazione. Gli ospiti espressero la propria delusione con battute risentite, ma mai salaci; a tratti ironiche, intervallate da altre un tantino colorite, ma sempre garbate e divertenti, a volte con un italiano perforato da voci dialettali; mentre nello studio fremevano le matite di due valenti artisti, Raffaele D’Addario e Benedetto D’Amicis, i cui ritratti vennero pubblicati a corredo dell’articolo. Le domande e le risposte si susseguirono tra il serio e il faceto. “Che trattamento richiede questa vostra dotazione?”.
Festival dei Baffi di Montemesola
Sia mustacchio o pizzetto; sbaffo con le estremità verso l’alto, fiere corna di toro alla Salvador Dalì; o barba a due punte alla Vittorio Emanuele II; o mosca; barba soffice o rigida, attorta o eccentrica, sofisticata, solenne, rigogliosa, esplosiva, austera, spiovente, a cascata; baffo ardente a dirla con Matilde Serao, vanno coltivati con molta cura. Ogni giorno devono essere lavati con “‘shampoo” neutro; stirati… Uno degli ospiti chiosò: “C’è chi ti giudica dalle condizioni del pelo. Alcuni popoli, come gli Assiri, gli davano molta importanza”. Aggiunsi che i vezzi piliferi sopra e sotto le labbra sono apprezzati da molte signore; e riesumai l’esortazione fatta per lettera, oltre un secolo fa, da una moglie a un’amica a non lasciarsi mai baciare da un uomo senza baffi. Non per niente quel germoglio è celebrato nella poesia, nel romanzo, nel cinema, nella pittura…Mi vengono in mente il “Ritratto di Jarry” di Emilio Tadini e un’illustrazione de “La Domenica del Corriere” per la festa del Touring del 1905. Nel bel mezzo del discorso il più giovane, dipendente dell’Italsider, lanciò una proposta: la stesura di uno statuto per il festival e la nascita di un club dei baffi, con funzioni culturali e anche diplomatiche, dovendo stabilire contatti con altri festival, come quelli della barba di Lanciano; dei baffi di Perugia…. Subito dopo, improvvisò un numero spettacolare dedicato, come dichiarò, alla trasformazione del proprio ornamento dall’ungherese alla cinese.
Franco Bompieri e Gianni Brera
 










              E molti poi si chiesero come mai il trofeo non fosse stato assegnato a lui, che s’imponeva anche per la stazza. Da sempre esistono uomini che amano adornarsi il volto. Uomini comuni, politici, eroi, scienziati. Pensate alla barba di Cavour, una cornice dal mento alle basette; ai baffi di Einstein; alla barba e ai baffi di Freud, a quelli di Darwin, di Garibaldi; alla “selva” di Marx; a quella di Lorenzi. La fioritura impegna tutta l’abilità dei tonsori, come ha affermato Franco Bompieri, titolare della meneghina “Antica Barbieria Colla” di via Morone, che ha potato, oltre a tanti baffi e a tante barbe, teste rispettabili, come quelle di Cuccia e Mattioli, Montanelli e Visconti, Mastroianni... “Infinite le forme delle barbe; esistevano mille modi per lavorare i baffi e centinaia di ferri, stretti, più larghi, rotondi o piatti, per dargli la forma”. Ma i tre irsuti accomodati nel salotto televisivo della Bimare, spiritosi, spassosi, arguti, prediligevano il “fai da te”. Sapevano scegliere i prodotti e gli strumenti e li usavano senz’alcun bisogno di suggerimenti tecnici. Li stuzzicai molto, anche sulle fasi della “toilette”; e risposero in modo chiaro e preciso anche sul tempo trascorso davanti allo specchio. Il loro fregio, alla moschettiera; a forma di peperoncino piccante; a sciarpa, era infatti a regola d’arte. Intanto fioriva un festival a Grottaglie, che tra le figure più notevoli, come riferisce l’organizzatore Rocco Bentivoglio, 71 anni, pluricampione mondiale di categoria “Baffi Umberto I”, contava e conta come concorrente un sosia di “Giuseppe Verdi”, tra l’altro con mantello nero, cappello a cilindro e “papillon”. Un’altra copia del “cigno di Busseto” scende a Montemesola, che vanta una giuria tutta al femminile. “Ci stiamo dando da fare per realizzare un’edizione della rassegna a Milano”, informa Renato Bruno, della Pro Loco, che non si lascia sfuggire alcuna occasione per ricordare la storia della manifestazione, battezzata da Pippo Baudo nel 1965, grazie al veterinario comunale Mario Carbonaro. Il quale, durante una vacanza, si fece crescere i baffi: al ritorno gli amici li criticarono (“Non ti stanno bene”); e lui replicò che il giudizio spettava alle donne; e per coerenza consegnò tocco e toga a una delegazione dell’altra metà del paese.


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